A Prato il nome di Christian Giagnoni è legato a una storia che molti conoscono. Raccontarla ancora ha senso solo se si cambia punto di vista: non quello dell’incidente, non quello delle vittorie, ma quello dell’uomo.
«Prima dello sport? Non saprei», dice Christian. «Ero un bambino. Anche perché da quando avevo cinque anni avevo già i pattini ai piedi».
Lo sport non è mai arrivato dopo: è sempre stato lì. Prima l’hockey, una seconda pelle, una casa.
Il 23 dicembre 2010 è una linea netta, l’incidente, Christian non lo racconta come una fine, ma come una trasformazione. «Mi ha spezzato una vita e me ne ha ridata subito un’altra». E se c’è qualcosa che secondo lui non viene detto abbastanza, non riguarda lui. Riguarda le persone. Quelle che restano, quelle che si allontanano, quelle che tornano. «Nel bene e nel male, anche adesso, le ho tutte accanto».
La ripartenza passa ancora dallo sport. L’handbike arriva senza proclami, con una sensazione precisa: «Il vento in faccia. Era quello che volevo risentire».
Poi il resto viene da sé: allenamenti, gare, Giri d’Italia, vittorie. Tante. «Per me hanno significato rivincita, riscatto, rimettermi in gioco». E senza giri di parole aggiunge: «Da buon agonista, vincere è vincere».
Non c’è una gara sola da ricordare. C’è la prima vittoria, che non si dimentica. E poi Assisi, con un seguito di amici enorme, a ricordare che nessun traguardo è mai davvero individuale.
Quando dice che l’incidente lo ha cambiato in positivo, Christian non cerca frasi ad effetto. «Quando ti succede qualcosa del genere capisci che non sai nemmeno se rivedrai la luce. Da lì impari a non voler perdere più nemmeno un minuto». Il tempo smette di essere un’abitudine e diventa una scelta.
Sul mondo paralimpico è diretto. «Il problema non è come se ne parla, ma che se ne parla poco». Poi affonda: «Non siamo sportivi. Siamo super sportivi. Perché ci vuole una forza e una voglia enormi». Nessuna richiesta di compassione, solo rispetto.
E poi c’è l’hockey. La maglia numero 9 ritirata dalla sua squadra. «Un grande onore». Ma subito precisa: non per il gesto in sé. «Perché quello sport è una famiglia». E certe famiglie restano, anche quando la vita cambia direzione.
Oggi Christian guarda avanti senza promesse roboanti. Gli anni si fanno sentire, le energie vanno dosate. «Se riuscirò a trovare un po’ di aiuti, mi piacerebbe fare ancora un anno. Poi vedremo». Una cosa però la sa bene: «Da soli non si fa niente».
Forse è questo il punto. La storia di Christian Giagnoni non è solo ciò che ha perso o ciò che ha vinto. È il modo in cui ha scelto di vivere il tempo che gli è stato restituito. Con il vento in faccia. Senza sprecarlo.












