Stefano Tempesti: la vita dopo la porta, la Nazionale e l’allarme impianti

Ex portiere solo per definizione: dalla solitudine della vasca alla guida dell’Italia, con Prato sempre nel cuore. La storia di Stefano Tempesti, il pallanuotista e olimpionico pratese.

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Stefano Tempesti
Stefano Tempesti durante una parata

Stefano Tempesti oggi sorride quando deve presentarsi. «Ormai mi sto abituando a dire che sono un ex pallanuotista». Dirlo non è semplice, dopo trent’anni vissuti con una calottina in testa, su quel metro cubo d’acqua che è stato il suo mondo. Eppure è da lì che parte il racconto: dall’uomo prima dell’atleta. «Oggi sono una persona che si dà molto da fare su più fronti, con tanta voglia di lavorare, ma soprattutto di dedicarsi alla famiglia».

Essere portiere non è stato solo un ruolo, ma una scuola di vita. «Condividi l’errore più degli altri», dice Tempesti. «E impari a gestire la solitudine, i momenti di sconforto, senza avere per forza qualcuno accanto». È un mestiere che ti obbliga a trovare da solo la forza di reagire. «Vivi quasi tutta la carriera su una striscia, su un metro cubo d’acqua. È molto formativo a livello caratteriale».

Se guarda indietro, le parate sono mille. I rigori anche. Ma ce ne sono due che raccontano più di altre chi è stato. Il primo, a 14 anni, a Bellariva: esordio, prima palla toccata in Serie A, un rigore parato. Contro l’Ortigia, la squadra che anni dopo sarebbe diventata la sua ultima. Poi quel rigore in finale di Coppa Italia contro il Posillipo, parato di piede. «Ho impiegato una carriera per parare con le mani», sorride, «e sono sicuro che sarò ricordato per un rigore parato di piede».

Prato resta casa. Sempre. «È la mia città e lo sarà per sempre». Una città bella, ma che oggi vive una difficoltà profonda sul piano degli impianti sportivi. «Un atleta, se vuole primeggiare in uno sport come la pallanuoto, oggi soffre». Eppure il legame resta intatto: «Quando parlo di Prato, lo faccio sempre col cuore. Qui c’è la mia famiglia, qui sono nato».

Oggi Tempesti è direttore sportivo della Nazionale Italiana maschile. Un ruolo diverso, ma non meno carico di responsabilità, soprattutto con gli Europei alle porte, che si disputeranno a Belgrado in Serbia, dal 10 al 25 gennaio. E l’orgoglio si moltiplica quando guarda alle rose azzurre. «Vedere atleti pratesi in Nazionale mi riempie di orgoglio». Il pensiero va a Lorenzo Bruni, centroboa azzurro. «Un grandissimo atleta, ma soprattutto un ragazzo eccezionale. Sono fiero che Prato continui a esprimere talenti di questo livello».

Le Olimpiadi restano il crocevia di ogni carriera. Tempesti, l’olimpionico pratese con due medaglie olimpiche al collo, non gira intorno alle parole. «Fare o non fare le Olimpiadi distingue una carriera in maniera netta. Avere una medaglia ancora di più». Sono il punto in cui un atleta passa da ottimo a eccezionale. «Segnano lo sviluppo dell’atleta e della persona per tutto il futuro».

Eppure, guardando indietro, ciò che resta non sono le medaglie. «Le vittorie col tempo vengono dimenticate. Già oggi le nuove generazioni non sanno quanti scudetti ho vinto». Quello che rimane sono i rapporti. «Le persone, la qualità dei legami che sei riuscito a creare. È la cosa più bella che mi porto dietro».

Se dovesse parlare a un giovane che sogna la Nazionale, Tempesti non regalerebbe frasi fatte. «Direi di mandare a quel paese chi dice che non lo puoi fare». Servono persone vere accanto, non slogan. «Devi avere un fuoco dentro e non permettere a nessuno di spegnerlo. Poi magari non ce la fai, ma la stella polare deve essere seguire i tuoi sogni, anche quando qualcuno cerca di tirarti verso il basso».

Stefano Tempesti oggi è questo: un ex portiere solo sulla carta, un uomo che ha trasformato la solitudine della porta in responsabilità condivisa. Sempre con Prato nel cuore. Sempre con lo sguardo rivolto avanti.