Dal 16 al 22 novembre 2025, Portimão ha ospitato i Mondiali per Nazioni di Beach Ultimate, uno dei momenti più attesi dell’intera stagione internazionale. Tante squadre, cinque nazionali italiane in campo in diverse categorie e un livello tecnico che, sulla sabbia, si mescola con spettacolarità pura: tuffi, scatti, ritmo. E soprattutto Spirit of the Game, il principio che guida l’Ultimate Frisbee e che rende questo sport unico, niente arbitri, autogestione e rispetto con responsabilità condivisa.
L’Ultimate Frisbee, generalmente giocato su erba, è uno sport di squadra giocato con il disco, senza contatto, in cui l’obiettivo è avanzare con una serie di passaggi fino alla meta. La versione Beach è ancora più intensa: 5 contro 5, campo più piccolo, sabbia che toglie energie ma regala spettacolo.
In questa cornice, tra le azzurre della Nazionale Women, c’è Camille Bernier, cresciuta a Prato in una famiglia dove il frisbee è quasi ereditarietà genetica.
«L’idea di partecipare a questo Mondiale mi ha gasata fin da subito», racconta Camille. «Negli ultimi anni ho fatto tante esperienze che mi hanno fatto crescere di livello e consapevolezza. Con la Nazionale ci prepariamo da un anno, e credo di aver dimostrato di avere il livello giusto per portare questo gruppo al Mondiale. Lo sentivo mio.»
Per lei era la seconda esperienza con la maglia azzurra in un mondiale: «Il primo è stato quello su erba nel 2023 con la Nazionale U24. È tutto indescrivibile: persone da tutto il mondo, una comunità speciale. E per la maggior parte di noi, a differenza di USA e Canada, è tutto autofinanziato. Questo vuol dire che chi gioca, lo fa con passione vera.»
Camille si illumina quando parla dell’azzurro: «La maglia con scritto Italia, il mio cognome, il mio numero… mi emoziona tantissimo. L’idea di squadra, i cori, gli abbracci dopo una meta. La primissima partita era in diretta streaming e ho segnato un paio di mete: una figata!»
Il girone dell’Italia era tutt’altro che semplice.
«Sapevamo pochissimo delle avversarie. USA e Canada sono potenze, e contro le statunitensi abbiamo perso 13-1 scegliendo di non sprecare tutte le energie. Le francesi, che conoscevo bene perché vivo a Parigi e mi sono allenata con alcune di loro, hanno poi vinto il bronzo proprio contro di noi: erano affamate e si sono meritate la vittoria. Per altre squadre non c’erano informazioni: ogni giorno guardavamo partite per capire cosa ci aspettava.»
“Sono figlia d’arte”. Quella di Camille è una storia che inizia molto prima di Portimão.
«Nel mondo dell’Ultimate ci sono nata. Mio padre gioca dal 1982: 43 anni di passione. È ancora innamorato di questo sport e della comunità, e organizza tre tornei all’anno. Sono figlia d’arte, ma ho iniziato più tardi, perché la squadra della mia città non era adatta alla mia età. Con l’università ho cambiato città e ho trovato le squadre giuste. Ora mi sembra impossibile pensare alla mia vita prima dell’Ultimate.»
Per la prima volta a Portimão la nazionale femminile ha partecipato ad un mondiale di ultimate su sabbia.
«La prima Nazionale femminile italiana a partecipare ad un Mondiale Beach. Il mio ruolo era soprattutto difensivo: far cadere il disco alle avversarie e poi gestirlo per costruire il punto. Io amo avere il disco in mano, quindi non è stato semplicissimo, ma il mio livello mi ha portato ad aiutare anche in attacco. E poi ero la casinista del gruppo: la voce più alta, quella dei cori.»
Uno sport che cresce anche in Italia. Camille si allena da cinque-sei anni e ha visto da vicino la crescita del movimento.
«In Italia lo sport sta crescendo molto. Bologna e Rimini sono super sviluppate, ci sono giovani fortissimi e le nazionali giovanili stanno portando grandi risultati. Il livello tra qualche anno sarà ancora più alto.»
Eppure, per molti, l’Ultimate resta da scoprire.
«La prima reazione è sempre: “Ah, quello che si fa con i cani?” No! L’Ultimate richiede atletismo, potenza, tecnica. È spettacolare: scatti, tuffi, giocate al limite. E ci auto-arbitriamo: impariamo a gestire i conflitti e a rispettarsi. Periodicamente dobbiamo anche fare test sul regolamento.»
Il presente e il futuro.
«Adesso ho bisogno di riposare: mi allenavo cinque volte a settimana. Il prossimo obiettivo è il Mondiale per Club, dove giocherò con le Yaka di Parigi, che mi hanno accolto nella loro squadra femminile
Infine, il legame con la città.
«A Prato una squadra c’era: nel 2001 mio padre fondò i Bischi. Erano forti: hanno vinto il campionato italiano nel 2011. Poi, senza ricambio generazionale, la squadra è scomparsa. Molti sono andati a Firenze, dove si sta ricreando un gruppo di ragazzi e ragazze interessati.»
Una storia che parte da Prato, passa per Portimão e continua nel futuro del frisbee italiano.















